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1 Agosto 2016

Per il cambio di destinazione d’uso ci vuole la SCIA o il permesso di costruire?

Per cambiare destinazione d’uso a un immobile non sempre è sufficiente una SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività). Se il cambio di destinazione d’uso interessa categorie edilizie e non omogenee con effetti incidenti sul carico urbanistico è necessario il permesso di costruire.

Lo ha chiarito il Tar Campania, con la sentenza 3206 del 22 giugno 2016.

Nel caso in esame una Cooperativa aveva avviato il cambio di destinazione d’uso di alcuni locali industriali, ubicati in zona D del PRG comunale, in locali commerciali. L’ufficio tecnico del Comune esprimeva il proprio preavviso di diniego, ai sensi dell’art 10-bis della legge 241/1990, col significato di ritenere irricevibile la SCIA presentata.

La Cooperativa ricorre al Tribunale amministrativo che rigetta il ricorso.

Relativamente alla questione della presentazione della SCIA, il Tar Campania fa notare che tra i motivi ostativi all’ammissibilità della Segnalazione certificata, il cambio di destinazione, rilevante ai sensi dell’art. 23-ter dpr 380/2001 (testo unico edilizia), richiede il ricorso alla diversa procedura del permesso a costruire.

Pertanto, il rilievo dell’amministrazione comunale risulta condivisibile.

Cambio destinazione d’uso e testo unico edilizia

L’art. 23-ter dpr 380/2001, inserito nel testo unico dell’edilizia dal dl 133/2014, convertito con modificazioni dalla Legge n. 164 del 2014, afferma che, salvo diversa previsione da parte di leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, anche se non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

  1. a) residenziale a-bis) turistico-ricettiva b) produttiva e direzionale c) commerciale d) rurale

Il legislatore statale ha quindi escluso il carattere di omogeneità tra la destinazione commerciale e quella industriale produttiva di un immobile, considerate categorie funzionali tra loro diverse e non assimilabili a fronte delle evidenti diverse implicazioni in termini di carichi urbanistici ed impatto complessivo sul territorio.

Secondo il Tar, inoltre, è sufficiente considerare che il cambio di destinazione, da capannone industriale ad immobile commerciale, richiesto dalla Cooperativa, imponga di norma la ristrutturazione ed il frazionamento dei preesistenti locali, con aumento del loro numero e conseguenti ricadute sull’assetto urbanistico locale.

Ne consegue che, in virtù delle previsioni di cui agli articoli 10 e 22 del dpr 380/2001 (interventi soggetti a permesso di costruire e inizio attività), trattandosi di cambio di destinazione d’uso che incide sul carico urbanistico, si rende necessario quale titolo autorizzatorio il permesso di costruire.

In definitiva, come chiarito infatti dalla giurisprudenza, solo il cambio di destinazione d’uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico). Se il cambio di destinazione d’uso interessa categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, è necessario l’assoggettamento a permesso di costruire, indipendentemente dall’esecuzione di opere.

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